L’albero dello yoga di B.K.S. Iyengar

Appena iniziai a seguire un corso di yoga, nacque in me il desiderio di conoscerne anche gli aspetti storici e filosofici. Andai in una libreria specializzata e acquistai alcuni libri, tra cui “L’albero dello yoga” di B.K.S. Iyengar. In questo libro, il Maestro ti introduce al mondo dello yoga, spiegandoti tutti gli aspetti filosofici e spirituali, ricorcordandoti sempre, però, che questa spiritualità affonda le sue radici nella pratica.

In un capitolo di questo libro, il Maestro B.K.S. Iyengar, partendo dalla tradizionale descrizione in otto stadi dello yoga di Patanjali, ti spiega la sua visione, facendo ricorso all’immagine dell’albero. Questo approccio mi piacque tantissimo perché il paragone dell’albero dello yoga con l’albero di madre Natura è un’immagine bellissima, didatticamente e filosoficamente molto valida.

E’ un approccio allo yoga che propongo sempre ai miei allievi che si avvicinano allo yoga per la prima volta e che riporto volentieri anche in questo blog 🙂

“Per coltivare una pianta si deve prima vangare la terra, rimuovere i sassi e le erbacce e ammorbidire il terreno. Si pianta, poi, il seme e lo si copre, accuratamente, con terra soffice in modo che, quando si chiuderà, non venga danneggiato dal peso; quindi si innaffia, dopodiché si attende che germogli e cresca. Dopo uno o due giorni, dal seme spunta uno stelo che poi sui dividerà in due e produrrà foglie. La pianta continua così a crescere fino ad avere un tronco che, a sua volta, genererà rami con molte foglie che si orienteranno in varie direzioni.”

Allo stesso modo, si deve accudire l’albero dell’anima. I saggi del passato, che avevano goduto della possibilità di vedere l’anima, ne trovarono il seme nello yoga. Questo seme ha otto segmenti che, durante la crescita dell’albero, generano gli otto rami dello yoga.

La radice dell’albero si chiama Yama, che comprende i cinque principi di ahimsa (non violenza), satya (sincerità), asteya (liberazione dall’avidità), brahmacharya (controllo della brama sessuale) e aparigraha (liberazione dal desiderio di possedere al di là delle proprie necessità).

L’osservanza di Yama disciplina i cinque organi dell’azione che sono le braccia, le gambe, la bocca, gli organi procreativi e gli organi escretori.

Ovviamente, gli organi dell’azione controllano gli organi percettivi e la mente; se si vuole fare del male, ma gli organi dell’azione si rifiutano di farlo, il male non verrà fatto. Per questo, gli yogi iniziano con il controllo degli organi dell’azione; Yama è quindi la radice dell’albero dello yoga.

Poi viene il tronco, che si paragona ai principi del Niyama, che sono saucha (pulizia), santosa (appagamento), tapas (ardore), svadhyaya (studio di sé stessi) e isvara-pranidhana (abbandono). Questi cinque principi di Niyama controllano gli organi della percezione: gli occhi, le orecchie, il naso, le labbra e la pelle.

Dal tronco dell’albero, si dipartono diversi rami. Uno cresce molto lungo, uno di lato, uno va a zigzag, un altro cresce dritto, e così via.

Questi rami sono le Asana, ovvero le varie posture che fanno sì che le funzioni fisiche e psicologiche del corpo siano in armonia con il modello psicologico della disciplina yoga.

Dai rami crescono le foglie la cui interazione con l’aria fornisce energia a tutto l’albero. Le foglie, che convogliano dentro l’aria esterna e la portano a contatto con le parti più interne dell’albero, corrispondono al Pranayama, la scienza del respiro, che unisce il macrocosmo al miscrocosmo e viceversa. I nostri polmoni, visti al contrario, sembrano un albero. Attraverso il Pranayama, il sistema respiratorio e quello circolatorio raggiungono uno stato di armonia.

La padronanza delle Asana e del Pranayama aiuta il praticante a distaccare la mente dal corpo, e ciò porta automaticamente verso la concentrazione e la meditazione. L’albero, se non avesse la corteccia, sarebbe divorato dai vermi; il suo rivestimento protegge la linfa che fluisce all’interno, tra le foglie e la radice. La corteccia, quindi, corrisponde al Pratyahara, che consiste nello spostamento verso l’interno dei sensi della pelle al profondo dell’essere.

Dharana è come la linfa dell’albero, il succo che porta l’energia in questo viaggio spirituale. Dharana è concentrazione, che focalizza l’attenzione al centro dell’essere umano.

Il fluido dell’albero o linfa unisce l’estremità della foglia all’estremità della radice. Il raggiungimento di questa unione dell’essere dall’esterno all’interno, dove colui che osserva e colui che è osservato sono un tutt’uno, si ottiene con la meditazione. Quando l’albero è sano e c’è molta energia, allora sbocciano i fiori. Quindi Dhyana, la meditazione, è il fiore dell’albero dello yoga.

Alla fine, quando il fiore si trasforma in frutto, questo si chiama Samadhi. Come l’essenza dell’albero si trova nel frutto, così l’essenza della pratica dello yoga è “riposta nella libertà, l’equilibrio, l’armonia e la beatitudine del Samadhi, dove il corpo, la mente e l’anima sono un tutt’uno armonico e si fondono con lo Spirito Universale.”

Questa è la visione dello Yoga da parte del Maestro B.K.S. Iyengar.

Om Shanti,

Simona