Bhagavad Gita, Il Canto del Beato

La Bhagavad Gita (Canto del Divino) è un poema di circa 700 versi (śloka, quartine di ottonari), diviso in 18 capitoli, che fa parte del Mahābhārata, poema epico che narra le vicende di un importante evento della storia indiana.
Alcuni autori datano l’inserimento della Bhagavad Gita nel Mahabharata al III secolo a.C., mentre altri giungono fino al I sec. d.C.

E’ uno dei testi più importanti sullo yoga.

 

L’episodio narrato nel testo si colloca nel momento in cui il guerriero Arjuna, uno dei fratelli Pandava, prototipo dell’eroe, è in procinto di dare inizio alla battaglia di Kuruksetra che durerà 18 giorni, durante la quale si troverà a dover combattere e, quindi, uccidere i membri della sua stessa famiglia, parenti, mentori e amici, facenti tuttavia parte della fazione dei malvagi Kaurava, usurpatori del trono di Hastinapura.

Di fronte a questa prospettiva drammatica, Arjuna si lascia prendere dallo sconforto, rifiutandosi di combattere. A questo punto il suo auriga Krishna, principe del clan degli Pandava, ma in realtà l’incarnazione  (avatara) del dio Visnu, si avvia ad impartirgli degli insegnamenti per dissiparne i dubbi e lo sconforto, ricordandogli di rispettare i suoi doveri e, quindi, di combattere e uccidere, senza farsi coinvolgere da quelle stesse azioni (karma).

Per convincere Arjuna della bontà dei propri suggerimenti, Krishna, manifestandosi come l’Essere supremo, precisa che le sue rivelazioni non sono affatto delle novità, in quanto già da lui trasmesse a Vivasvat (il dio Sole) e da questi a Manu (il primo uomo, considerato padre dell’umanità) in tempi immemorabili, ma che tale conoscenza venne poi a mancare e con essa il Dharma.

Krishna si manifesta nel mondo affinché gli uomini, e in questo caso Arjuna, lo imitino. Così Krishna, l’Essere supremo manifestatosi, spiega che ogni aspetto della Creazione proviene da lui per mezzo della sua prakrti (natura, materia, forza motrice primordiale) e che, nonostante questo, egli rimane solo uno spettatore di questa creazione.

L’uomo deve, quindi, imparare a fare lo stesso, essendo legato alle proprie azioni, in quanto, anche se si astiene dal compierle, come stava per fare Arjuna, rifiutandosi di combattere, i guna che condizionano ogni cosa e che derivano da Krishna senza condizionarlo, agiranno lo stesso, incatenandolo al proprio karma, egli deve comunque compiere il proprio dovere, anche in modo “mediocre”.

Perciò ogni azione umana deve esser priva di attaccamento o di desiderio verso il risultato. E come si raggiunge tale meta? Secondo la Bhagavad Gita tale meta è raggiungibile solo con lo yoga, in particolare con il bhakti yoga, unica via spirituale per liberarsi definitivamente dal ciclo delle nascite e delle morti (samsara) ed ottenere la liberazione (moksa).

 

I personaggi della Bhagavad Gita e il loro significato simbolico

  1. Il Carro di Arjuna: il nostro corpo fisico (grossolano, sottile e causale), attraverso cui l’azione può avvenire;
  2. Arjuna: noi nella nostra forma umana, con tutti i nostri dubbi, le preoccupazioni e le abitudini; è il nostro io cosciente dotato di libero arbitrio che decide cosa fare del carro e chi mettere alla sua guida;
  3. Krishna: il “Sé superiore”, l’Atman, ovvero il proprio Sé più profondo ed immortale; è Dio per i credenti, ma può rappresentare anche la Voce interiore che sa sempre cosa è giusto fare, messo volutamente da Arjuna alla conduzione del carro;
  4. I Pandava: le grandi virtù che sono dentro di noi;
  5. I Kaurava: le forze opposte che sono dentro di noi;
  6. I cavalli del carro: i nostri cinque sensi che permettono al carro di muoversi, senza di essi non ci sarebbe azione; devono essere sapientemente guidati e controllati dal Sé per poter realizzare la nostra vera natura;
  7. Le briglie sono la mente, uno strumento attraverso cui Dio/il Sè può esercitare il il controllo sui sensi.

 

L’insegnamento della Bhagavad Gita

Spesso, la vita ci apparire come un campo di battaglia. Ogni giorno, dobbiamo superare problemi di lavoro, preoccupazioni familiari, ansie e paure sul futuro. L’insegnamento millenario della Bhagavad Gita è quello di incoraggiarci a vivere la vita con purezza, forza, disciplina, onestà, gentilezza e integrità per trovare il nostro scopo e viverlo pienamente.
Proprio come Krishna incoraggia Arjuna a mettere da parte tutti i suoi dubbi ed avere fiducia nel suo più alto Sé, anche noi possiamo usare la saggezza della Bhagavad Gita per superare le difficoltà che incontriamo ogni giorno (sul campo di battaglia della vita), per prendere decisioni con coraggio e onestà, e per imparare a vivere la vita in modo pieno ed autentico.

 

Alla fine di una lezione di yoga, prova a rispondere con onestà a queste domande: “sto vivendo la mia vita in modo pieno ed autentico?”, “nei miei doveri quotidiani, mi sto impegnando con serietà?

 

Om Shanti,

Simona