Dharana è il sesto passo dell’Asthanga Yoga di Patanjali.
Se con l’aiuto di Pratyahara fermiamo il flusso delle informazioni dal mondo esterno, con i tre stadi successivi, Dharana, Dhyana e Samadhi, che rappresentano momenti progressivi dello stesso processo, inizia il viaggio interiore.
Dha significa “tenere o mantenere”, e Ana significa “altro” o “qualcos’altro”. Perciò, dharana significa mantenere o tenere su qualcosa, cioè concentrare la mente su un oggetto e, quindi, concentrazione focalizzata. Perché facciamo questo?
Felicità e infelicità sono solo stati della mente. Quando siamo infelici, la nostra mente è piena di sentimenti negativi. Per superare questa condizione, cerchiamo di sostituire i sentimenti negativi con qualcosa che ci faccia ritrovare la serenità. Questo è ciò che avviene con le tecniche di dharana che impariamo dopo la pratica di Pratyahara (ritiro dei sensi) con cui fermiamo il flusso delle informazioni che vengono dal mondo esterno per calmare la mente.
Quando entriamo in contatto con un oggetto, gli organi di senso lo percepiscono e inviano le sensazioni ricevute alla mente che acquisisce i segnali dal cervello, “ricreando” un’immagine mentale dell’oggetto stesso. In questo modo, la mente si “riempie” di sensazioni degli oggetti percepiti.
In dharana, avviene la stessa cosa: poiché la nostra mente è impegnata a generare sensazioni dell’oggetto focalizzato, vengono eliminate le altre sensazioni. In questo modo, la mente viene ripulita da tutti i sentimenti, sia negativi che positivi, ed è pronta ad affrontare, di nuovo, il mondo esterno. Ecco perché, dopo la pratica di dharana, ci sentiamo sereni, ottimisti e in salute.
All’inizio di questa pratica, la serenità percepita può esser di breve durata perché le preoccupazioni quotidiane tornano in fretta. Con la pratica costante, il periodo di serenità viene man mano allungato.
Tuttavia, poiché abbiamo, in media, circa 70.000 pensieri al giorno, come facciamo ad “addestrare” la nostra mente a rimanere concentrata?
È impossibile “svuotare” la mente, ma possiamo addestrarla a concentrarsi su una cosa. Questo, ovviamente, non è una cosa facile da fare!
La maggior parte di noi ha sperimentato ciò che, nello yoga, si chiama “mente scimmia”, pensieri irrequieti che saltano dall’uno all’altro, come le scimmie che saltano da un albero all’altro. Quindi ci vuole un po’ di disciplina e pazienza per imparare a focalizzare la nostra attenzione su una singola cosa.
Questa concentrazione può essere praticata con gli occhi aperti o chiusi e rivolta verso:
– un oggetto esterno, come una fiamma di candela, uno yantra, il sole o un fiore;
– un oggetto energetico, come un chakra o un nadi, un canale energetico;
– il respiro
– un mantra;
– un’immagine visualizzata ad occhi chiusi;
– un suono, come OM.
Questa abilità di focalizzarsi con attenzione continua è un momento fondamentale per procedere con la meditazione perché, se non siamo in grado di concentrarci su un singolo punto, non avremo il controllo della mente e, quindi, sarà impossibile mantenere periodi prolungati di calma mentale, necessaria per meditare in modo profondo.
Om Shanti,
Simona