Dhyana è il settimo passo dell’Asthanga Yoga di Patanjali ed è un’evoluzione di Dharana e può esser tradotto con meditazione.
Quando pratichiamo Dharana, concentrandoci su un oggetto interno o esterno, siamo consapevoli dell’oggetto della concentrazione (per esempio, una candela accesa) e di ciò che stiamo facendo.
Quando la consapevolezza dell’oggetto focalizzato e di ciò che stiamo facendo si fondono insieme (addirittura, non percepiamo più la consapevolezza del nostro corpo!), si verifica l’unione del meditante con l’oggetto meditato. Questo vuol dire che Dharana si è evoluto in Dhyana.
Sebbene Dhyana suoni sembri simile a Dharana, è sottilmente differente. Mentre Dharana ci insegna come focalizzarci su un punto, incoraggiandoci a concentrare tutta la nostra attenzione sul respiro, su un suono o su una visualizzazione, Dhyana produce una consapevolezza senza la focalizzazione.
Per spiegare la distinzione tra Dharana (concentrazione) e Dhyana (meditazione), il mio primo insegnante di yoga usò queste parole: le singole gocce di pioggia rappresentano momenti intermittenti di attenzione focalizzata (Dharana); quando queste singole gocce di pioggia cadono sulla terra e si fondono creano un fiume, un flusso ininterrotto, che rappresenta Dhyana.
In Dhyana, la linea che separa ciò che stai facendo (respirare / ripetere un mantra / usare una visualizzazione) diventa sfocata e la separazione tra te e qualunque cosa tu stia focalizzando, scompare. Hai raggiunto uno stato in cui dimentichi che stai “meditando”. Il soggetto e l’oggetto diventano uno.
Quando Dhyana si evolve ulteriormente, diventa Samadhi, l’ultimo stadio della pratica dello Yoga.
Om Shanti,
Simona