Pratyahara è il quinto passo dell’Asthanga Yoga di Patanjali.
In sanscrito prati significa “contrario” o “via da”, mentre hara deriva dalla radice hri che significa “tirare”.
Pratyahara perciò può essere tradotto come “tirare via da” e si riferisce all’idea di tirare via, cioè ritirare, i sensi dai loro oggetti del desiderio, ritirandoli verso l’interno e sviluppando un forte senso di interiorizzazione.
E’ una pratica che permette il controllo degli organi di senso, ritraendoli dalle esperienze sensoriali.
In ogni istante della nosta vita, facciamo esperienza del mondo esterno, attraverso i nostri cinque organi di senso: occhi, orecchie, naso, lingua e pelle. Questi organi di senso fanno esperienza del mondo, quando entrano in contatto con i propri oggetti.
Il nostro controllo sui nostri sensi è minimo perché quando, ad esempio, vediamo o ascoltiamo qualcosa o mangiamo un cibo, occhi, lingua e orecchie riportano le loro “sensazioni” al cervello, anche se non vogliamo. Addirittura, se chiudiamo gli occhi, continuiamo a “vedere” immagini che vengono inviate al cervello.
Quando i cinque sensi sono appagati, siamo felici. Se solo uno di essi è insoddisfatto, siamo infelici.
Poiché viviamo in un mondo che, a differenza del passato, offre innummerevoli possibilità di appagamento, la nostra vita è spesso tesa alla ricerca continua della felicità, attraverso la soddisfazione dei nostri sensi.
Infatti, quando un’esperienza piacevole si è conclusa, andiamo alla ricerca di una nuova per ritrovare la felicità perduta. In questa continua ricerca della felicità (effimera) attraverso i nostri sensi, però, perdiamo “di vista” noi stessi, la nostra interiorità, la nostra vera essenza.
La pratica di pratyahara ci insegna a superare i vincoli dei cinque organi di senso, imparando a trattenerli dalle loro rispettive esperienze.
Non è una condizione difficile da raggiungere. Spesso, sperimentiamo pratyahara durante la nostra vita, seppure in modo inconsapevole. Per esempio, accade quando siamo intenti a leggere un romanzo che ci appassiona. Siamo talmente presi dalla lettura che non sentiamo i rumori provenire dalla strada o la voce di qualcuno che ci chiama.
E’ un esempio di pratyahara inconsapevole perché non avevamo deciso, volontariamente, che le nostre orecchie avrebbero cessato di sentire.
Lo yoga invece insegna a praticare consapevolmente questo rientro dei sensi, attraverso tecniche specifiche per imparare a ignorare tutti gli stimoli esterni e il “chiacchiericcio” interiore che sono un ostacolo per la nostra pratica, in particolare per progredire nel nostro viaggio verso la meditazione profonda.
All’inizio, questa “interiorizzazione dei sensi” può essere piuttosto impegnativa perché siamo, ormai, completamente assuefatti a reagire alla continua raffica di stimoli ambientali e a spingere la nostra energia (prana) verso l’esterno.
Invece, grazie a tecniche specifiche, il nostro stato mentale cambia in modo tale da esser assorbiti dal nostro interno, al punto tale da non esser più distratti da ciò che accade fuori da noi.
Naturalmente, all’inizio, può essere davvero difficile, ma con un po’ di pratica possiamo imparare ad invertire il flusso dell’energia (prana) per risvegliare il nostro mondo interiore e sviluppare la capacità di poter essere pienamente assorbiti dalla meraviglia di ciò che sta accadendo al nostro interno, nonostante tutto il “rumore” che c’è intorno a noi.
Om Shanti,
Simona